Sintesi dell’evoluzione industriale delle motociclette lombarde

Dalla fine dell’Ottocento alla Prima Guerra Mondiale
Gli albori: i pionieri del motociclo

La fine dell’Ottocento e’ caratterizzata da un grande fervore motoristico. Appaiono veicoli a due e tre ruote, prevalentemente artigianali, ricchi di soluzioni originali e talvolta bislacche.

Difficile dire quale fu la prima motocicletta costruita e dove, quasi ogni nazione europea se ne attribuisce la paternita’. Va notato che le piu’ interessanti realizzazioni del pionierismo motociclistico sono nate in Francia.
Di certo il primo tentativo di costruire in serie una motocicletta si deve ai germanici Hildebrand e Wolfmüller nel 1894. Il veicolo era importato in Italia da Max Türkheimer di Milano. Sempre nello stesso anno a Milano fa la sua comparsa il marchio Marchand (successivamente, nel 1898, Marchand & Orio) seguito da Gavazzi & Zucca (1985) Figini & Lazzati e Prinetti & Stucchi (1898), Cadore e Lario (1900) a cui si aggiungeranno in anni successivi altri costruttori.
La diffusione di motociclette in questo periodo e’ comprovata dalla necessita’ di una regolamentazione, varata nel 1901 col decreto del Ministero dei Lavori che stabilisce come le biciclette a motore (motociclette) vengano considerate alla stregua delle automobili e ne seguano le stesse regolamentazioni.
All’inizio della prima guerra mondiale circolavano in Italia circa ventimila motocicli.

1914-1925: dalla Grande Guerra all’eta’ d’oro del motociclo italiano
La ripresa post-bellica

Durante la Grande Guerra, la produzione di motociclette è dedicata a impieghi militari E molte fabbriche vengono convertite alla costruzione di armi.

Superato il conflitto, nel 1919 riprende la produzione indirizzata al mercato civile, ma con enormi difficolta’. In quell’anno, infatti, le marche presenti sul mercato italiano sono 35 di cui solo 10 nazionali. Precisamente si tratta di Bianchi, Motoborgo, Bucher e Zeda, Della Ferrera, Fongri, Frera, Garelli, Gilera, Maffeis e Stucchi: sette sono lombarde e tre piemontesi.
La ripresa del mercato e’ comunque veloce, perche’ la richiesta di mezzi di trasporto e’ alta e le motociclette sono veicoli economici e di facile uso.
Così le motociclette circolanti sono poco più di diciannovemila nel 1919, salgono a quasi ventottomila nel 1920, a trentaquattromilacinquecento nel 1921 fino a oltre sessantamila nel 1925, quando sul mercato italiano sono presenti centosessantaquattro marchi di cui ben ottantacinque italiani.
Fenomeno interessante di questo periodo e’ la bicicletta a motore, costituita da un propulsore di circa 175 cc montato su un telaio ciclistico con pedaliera efficiente.
Inizialmente questi veicoli sfuggono alle maglie legislative in quanto assimilati alle biciclette: il successo e’ decretato e si moltiplicano le fabbriche costruttrici o fabbriche motociclistiche che si convertono al motore ausiliario. Ricordiamo tra le altre Garlaschelli, Rubinelli, Mignon, Orione, Mas, Faini, Simplex, GD, Colombo, Royal, Fiam, MBR, Mafalda, DP e Landi. A queste si aggiungo in seguito Atala, Vaga, Ollearo, Marini, Alato, Bikron, Neptunus, Excelsiorette, OMN, Merlonghi, Siat, Piazza, Minetti, MM e Miller.

L’avanzamento della tecnica e della legislazione
Gli anni Trenta

Evoluzione tecnica e normative, Il periodo E’ di grande importanza. Il codice della strada organizza la mobilita’ veicolare imponendo tra le altre cose di viaggiare a destra

Gli anni Trenta sono importanti per la storia della motocicletta, sia per il perfezionamento costruttivo e l’evoluzione tecnica (ricordiamo il passaggio dal serbatoio sottocanna a quello a sella) sia per una serie di importanti normative.
Le biciclette a motore possono ora avere il carrozzino laterale e, solo in questo caso, possono accedere alle autostrade.
L’Automobile Club d’Italia diventa ente incaricato per l’esazione delle tasse automobilistiche.
Nel 1926 a Milano viene istituito il primo corpo di polizia stradale motociclistica.
Ma la vera rivoluzione si ha con il Codice della Strada del 1928 che, tra l’altro, obbliga i veicoli circolanti a mantenere la mano destra anche su strade di campagna o deserte dove, prima, era consentito marciare al centro. Viene abolita la classe delle biciclette a motore sostituita da quella delle motoleggere con propulsore fino a 175 cc, prive di targa e che possono essere guidate senza patente da chi abbia compiuto il diciottesimo anno di eta’. I motori devono essere sempre silenziati, e’ proibito l’uso del chiusino. La moto deve avere due freni indipendenti, parafanghi, faro anteriore e rifrangente posteriore.
Da queste nuove regole si capisce perche’ i costruttori abbiano abbandonato le biciclette a motore e perché tutti abbiano in catalogo almeno una 175.
Alla fine degli anni Trenta circolavano in Italia poco meno di duecentomila motocicli.

Conflitto e difficile ripartenza
Gli anni Quaranta

le misure del periodo bellico determinano una omologazione tecnica che fa sparire i piccoli artigiani. dopo la guerra boom di micromotore e scooter

Le requisizioni e le rottamazioni per ottenere ferro da impiegare nella produzione bellica fanno letteralmente crollare il numero di motociclette circolanti in Italia che, all’inizio degli anni Quaranta, e’ di poco più di quindicimila veicoli. La necessita’ di realizzare moto al minor costo possibile spinge l’Associazione dei Costruttori (ANCMA) a invitare i propri soci ad acquistare parte degli accessori per la costruzione da fabbriche specializzate.
Tale politica costruttiva avrebbe portato all’unificazione della produzione, cosa che, in tempo di guerra, ha notevole importanza, ma soprattutto avrebbe dato maggior respiro produttivo alle aziende. Purtroppo l’iniziativa viene bloccata dal Governo che emana, nel 1941, forti restrizioni imponendo delle caratteristiche tecniche comuni per tutte le moto prodotte: passo, peso, tipo di accensione, numero di marce, diametro ruote, capacita’ minima serbatoio ed altro.
Il risultato e’ la fine di tutte le imprese motociclistiche artigiane che non possono reggere il confronto con le grandi case.
Finita la guerra si assiste ad una ripresa del mercato che ha fame di veicoli utilitari. E’ il boom delle vendite dei micromotori, poi diventati ciclomotori, e degli scooter. Nascono Vespa e Lambretta, ma anche altre case si cimentano in questo campo. Nel 1946 in Italia vengono prodotti 2.500 scooter, che salgono a 11.200 nel 1947, 31.000 nel 1948 e 70.000 nel 1949.

Dal grande boom alla crisi
I fantastici anni Cinquanta

dopo la seconda guerra la moto vive un periodo fantastico. se ne costruiscono di ogni tipo e cilindrata, di artigiani e grandi case. Ma col maggiore benessere arriva l’automobile…

Gli anni Cinquanta sono i piu’ prolifici sia per quanto riguarda la miriade di piccoli costruttori ed artigiani che, rispuntati nel dopoguerra, si cimentano nelle realizzazioni motociclistiche, quanto per lo sviluppo tecnico industriale delle grandi aziende.
Alcune di queste, come Macchi, MV Agusta e Aero Caproni, si convertono dalle costruzioni aeronautiche alla produzione motociclistica con ottimi risultati, anche sportivi.
Il parco circolante di motociclette aumenta vertiginosamente nei primi anni Cinquanta, soprattutto in Lombardia e Piemonte. Per fare un esempio, nel 1953 la citta’ con maggior numero di motoveicoli e’ Milano con 181.307 unita’ contro i 113.939 di Torino, uniche citta’ a superare le 100 mila unita’. A Roma le motociclette circolanti nel 1953 sono 93.778.
Ad invogliare all’acquisto di una moto contribuiscono non poco le molte gare che si disputano su circuiti cittadini e le competizioni di gran fondo, come Il Motogiro d’Italia o la Milano-Taranto, corse dove partecipavano moto quasi di serie.
Ma gli anni Cinquanta segnano anche il declino della motocicletta. Nel 1957 vengono abolite tutte le competizioni motoristiche su strada a causa dei tragici fatti accorsi alla Mille Miglia automobilistica, quando la Ferrari di De Portago-Nelsen esce di strada falciando dieci spettatori e causando la morte dei due piloti. Viene cosi’ a mancare un importante  supporto sportivo-pubblicitario. A questo si aggiunge la produzione di auto utilitarie vendute a prezzi d’acquisto piu’ bassi di quelli di una motocicletta di grossa cilindrata.

Anni Sessanta, un periodo critico
Il declino dei costruttori

rivalità moto-auto. IL mezzo di trasporto individuale ha ora quattro ruote

Gli anni Sessanta rappresentano un momento critico per la motocicletta in Italia che deve affrontare la concorrenza con le autovetture utilitarie e con le nuove norme della circolazione.
Scontata la comodita’ e il confort dell’automobile rispetto alla moto, c’e’ da dire che il prezzo di acquisto di una utilitaria e’ inferiore a quello di una moto di grossa cilindrata.
Tra l’altro le motociclette non sono ancora viste dal pubblico come oggetti di svago. Poi c’è il duro colpo dell’entrata in vigore nel 1959 del Nuovo Codice della strada che impone l’obbligo della patente per la guida dei motoveicoli e strangola il mercato ciclomotoristico imponendo i limiti di 40 km/h e potenza massima di 1,5 CV. Inoltre sui cinquantini e’ rigorosamente vietato il trasporto il passeggero.
Metti tutto insieme e accade che durante il  decennio chiudono marchi come Alpino, Bianchi, Frisoni, Fuchs, Ganna, Garlaschelli, Baroni, Parilla e Pegaso.
Nel panorama motociclistico appaiono elementi di positiva novita’.
Nel 1960 Gilera conquista il Vaso d’argento alla Sei Giorni internazionale di regolarita’ a Bad Aussen in Austria e forse anche sulla scia di questo successo esplode la moda delle moto da fuoristrada.
Poi nel 1965 al Salone di Milano Moto Guzzi presenta la bicilindrica V7 da 700 cc antesignana delle future maximoto. Alla V7 segue nel 1969 la V7 Special con estetica piu’ accattivante e cilindrata di 750 cc .